Durante il primo anno, ispirandosi liberamente a “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare, i partecipanti al laboratorio “Il senso della casa” hanno creato i personaggi di una città, che si trovano di fronte all'importante compito della costruzione di un parco. Ecco il risultato di questo lavoro.
Nel mese di ottobre 2019, all’interno delle attività proposte dal progetto IdeArti, il Nuovo Teatro Faraggiana di Novara, con la collaborazione dell’associazione Teatro di Frontiera, ha dato l’avvio al laboratorio teatrale Il senso della casa, diretto da Bruno Macaro con il supporto di un team di esperti e operatori culturali e sociali.
Settimana dopo settimana, il laboratorio teatrale ha raccolto al proprio interno un gruppo di partecipanti assolutamente eterogeneo, composto da italiani e stranieri; nonostante la normale turnazione tipica di queste attività, a fine gennaio 2020 il laboratorio aveva assunto una propria fisionomia specifica, includendo al proprio interno anche due ragazzi minori non accompagnati provenienti da una comunità presente sul territorio. Parallelamente era stato avviato presso l’agenzia formativa Filos il primo dei laboratori di drammaturgia fotografica condotti da Rosy Sinicropi, funzionali al laboratorio teatrale stesso.
Era già stata programmata la seconda parte degli incontri, che avrebbe visto la partecipazione di artisti collaboratori del Teatro di Frontiera (Patrizia Virtuoso, danzatrice e danzaterapeuta, Angelo Fasolo, operatore di circo sociale e clownerie, Veronique Andrin, attrice e autrice di teatro di figura) e avrebbe condotto verso la restituzione performativa, quando è scoppiata l’epidemia-Covid-19. Si sarebbe potuto fermare tutto il lavoro, rimandarlo a data da destinarsi, ma il team de Il senso della casa sapeva di avere tra le mani un capitale umano, un gruppo che stava costruendo un proprio immaginario collettivo e, nello stesso tempo, percepiva anche un senso di responsabilità, non solo verso i due ragazzi stranieri che stavano iniziando a trovare una propria forma di espressione, nonostante le difficoltà linguistiche oggettive, ma anche verso ciascuno dei partecipanti che si sarebbero trovati privati di un appuntamento fisso, di un rito comunitario, e, perché no, verso i personaggi che settimana dopo settimana stavano prendendo forma.
Con il proseguire dell’emergenza sanitaria, l’istanza di una forma di comunicazione che tenesse viva la relazione e permettesse di condividere la solitudine delle case è diventata pressante anche per il team direttivo del laboratorio: ognuno nella sua abitazione, ognuno alle prese con i propri problemi quotidiani, eppure “tutti sulla stessa barca”, con la memoria fresca di un’esperienza condivisa. E mentre sempre più persone uscivano sui balconi per cantare o scambiare quattro chiacchiere con vicini mai neppure salutati prima, l’attenzione è caduta di nuovo sul titolo del laboratorio, Il senso della casa appunto, e su quello che sarebbe stato il titolo del laboratorio di fotografia che si sarebbe dovuto avviare, Vicini di casa. È così che è stato immaginato un nuovo luogo virtuale, che nella realtà fattuale è un gruppo chiuso di Facebook: una città, con una piazza, un bar, delle botteghe e un gruppo di cittadini che sono “vicini di casa”, che abitano lo stesso quartiere, che ne discutono i problemi, ne condividono i ricordi e ne progettano il futuro. Ciascuno dei partecipanti al laboratorio è stato invitato a iscriversi al gruppo chiuso La settimana del quartiere e a interagire con gli altri come avrebbe fatto il personaggio sul quale stavano lavorando quando l’emergenza sanitaria ha fermato gli incontri in presenza. La panettiera, il muratore, il calligrafo, la pasticcera e tanti altri si muovono lungo le strade di una città che post dopo post assume una propria fisionomia; i due ragazzi stranieri, che nel gioco del teatro sono un cantante e un meccanico, hanno aperto un ostello, il regista del laboratorio, Bruno Macaro, è ora il barista Arturo, motore drammaturgico della narrazione, Rosy Sinicropi, colei che nella realtà conduceva il laboratorio di fotografia, nella finzione ha aperto una bottega da fotografa e organizza, settimana dopo settimana, un laboratorio di fotografia a distanza a cui partecipano tutti i personaggi, gli artisti esterni, che avrebbero dovuto apportare le proprie competenze specifiche, partecipano al gioco condividendo contenuti, offrendo spunti, postando video e immagini.
Oggi il materiale postato e prodotto è tanto ed eterogeneo, pronto per un’elaborazione drammaturgica e per una narrazione attraverso i materiali fotografici; i personaggi hanno ora una fisionomia che a metà febbraio non avevano, i partecipanti hanno fatto un percorso di scrittura collettiva di cui non si sapevano capaci e il gioco è così ben avviato che sarebbe un peccato fermarlo, tanto che il team di lavoro ha appena lanciato una nuova sfida che potrebbe portare alla scrittura delle prime scene del laboratorio teatrale del prossimo anno, laboratorio teatrale che si spera in presenza perché è di questo, di relazione e prossimità, che vive il teatro.